
[BLOG G6] Influencer
“Come va mamma il Blog?”
China sulla mia tastiera come Schroeder sul suo pianoforte, alzo lo sguardo velatamente attonito
per questo improvviso interessamento.
Bene, rispondo felice, forse ancor più per l’interessamento.
Quanti follower hai? – 200, rispondo prendendoli in contropiede.
Sorridono sotto i baffi che non hanno.
Su quanti inviti? – Intuisco che mi sto impigliando in una trappola.
1200 circa. – Si guardano e mi riguardano, il sorriso adesso è quasi intenerito.
Va bè, mamma, lascia stare.
Girano l’angolo, si sono già dimenticati il nostro scambio, io ho ancora le dita per aria e mi fermo, credo con una smorfia inebetita stampata sul viso.
200 persone che si sono prese la briga di darmi un segnale sono una moltitudine rapportata a me, seduta da sola davanti al mio schermo a digitar pensieri.
Ma non lo dico ad alta voce, siamo su galassie diverse.
Gli influencer, quelli veri, viaggiano a cifre a più zeri.
E io, voglio influenzare? Sì, credo di sì. Scrivo perché mi piacerebbe lasciar segni in giro.
Tuttavia, hanno ragione i ragazzi.
Oggi il contenuto o non conta o viene dopo: l’occhio va sull’indice di successo, sulla velocità e sulla scarica di emozione estemporanea che dà, foss’anche una risata.
Gli influencer influenzano. E non influenzano solo il loro pubblico.
Influenzano le relazioni sociali e la percezione di sé nel mondo.
Lo so bene che per comunicare con efficacia oggi ci vuole estetica, velocità e capacità acrobatiche per farsi notare tra infiniti competitor. Lo osservo su di me, che mi cimento come tutti a scegliere dove posare lo sguardo tra richiami d’ogni sorta.
Lo sanno bene i tanti adolescenti beta, quelli non alfa per intenderci, che hanno un’immagine di loro stessi “per differenza”: non si vedono abbastanza simpatici, abbastanza spigliati, abbastanza interessanti. Abbastanza influenti.
Ci provano, alcuni, e si arrabattano in tentativi un po’ maldestri. Altri non ci provano nemmeno e si ritirano dagli sguardi.
È la vergogna il sentimento della “Igeneration”. Un tormento profondo e difficile anche da dire.
È il senso di scarso valore personale il sentimento di noi adulti che, nel mare aperto dentro cui ci muoviamo, abbiamo un peso specifico impercettibile.
A tratti penso che scrivere un diario sia viaggiare di bolina: il vento tira in direzione opposta.
Però è quello che so fare.
Ho passato e passerò giorni con le vele sbattute a rigirarmi attorno allo stesso punto.
Tuttavia il valore che posso portare è ciò che sono, niente di più.
Solo dandomi tempo, e non scivolando troppo nell’insidia di mettere i panni che gli altri vorrebbero, troverò il mio movimento e la grazia nel farlo.
Saprò insegnarlo?
Forse sì, viaggiano insieme di bolina.